Antonio Megalizzi, il sorriso di chi amava l'Europa
Nel corso della settimana vi è stata una costante attenzione alla dimensione sovranazionale. In primis, per il ricorrere dell'anniversario della Dichiarazione Universali dei Diritti Umani, che ha spinto ad una riflessione sulla tutela dei diritti della persona nell'attuale momento storico, soprattutto alla luce dei nuovi nazionalismi. Si è parlato molto, inoltre, della trattativa con la Commissione e dell'accordo sul deficit nella legge di bilancio.  Sopra ogni cosa, però, si è imposta la triste notizia dell'attentato di Strasburgo. È stata colpita la città che ospita il cuore democratico dell'Unione europea e quanto accaduto ci ricorda che il dramma del terrorismo non è distante, non riguarda solo alcuni Stati, è una tragedia condivisa.
Tra le vittime c'è anche un ragazzo italiano, Antonio Megalizzi, giornalista impegnato in Europhonica, network di radio universitarie.

È stata colpita la città che ospita il cuore democratico dell'Unione europea e quanto accaduto ci ricorda che il dramma del terrorismo non è distante, non riguarda solo alcuni Stati, è una tragedia condivisa.
Tra le vittime c'è anche un ragazzo italiano, Antonio Megalizzi, giornalista impegnato in Europhonica, network di radio universitarie.
È una perdita che colpisce nel profondo, così come in passato quella di Valeria Solesin, giovane ricercatrice rimasta uccisa nell'attentato al Bataclan.
Sono ben lontana dal pensare (e sentire) che la morte di un connazionale sia più toccante di altre. Mi colpisce particolarmente, però, il fatto che nelle storie di questi ragazzi ci sia uno spaccato della mia generazione. La disponibilità a partire e la voglia di contribuire all'informazione e alla ricerca, in una prospettiva aperta, dinamica e professionale.
Mi commuove profondamente pensare all'entusiasmo che immagino li guidasse e alla loro voglia di condivisione, propria sia della ricerca, sia del giornalismo.
Concita De Gregorio scrive oggi su La Repubblica che dobbiamo "difendere i desideri" a cui abbiamo educato "i nostri figli nel mondo". Sono d'accordo.
Penso, però, che serva aggiungere un'altra riflessione. Dobbiamo - qui intendo come partito - ridurre la distanza che c'è tra quell'entusiasmo e il sentimento opposto, che oggi è dilagante (anche nella mia generazione). Dobbiamo lottare contro l'idea che possa sentirsi parte dell'Unione europea e condividerne il progetto solo chi ha avuto un determinato tipo di educazione.
Dobbiamo anche questo a chi ci ha creduto così tanto, per non rendere vano l'impegno con il quale ha alimentato un sogno di pace e sviluppo. Martina Bassotti
 

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